sexta-feira, 10 de setembro de 2010

quarta-feira, 7 de julho de 2010

ItaliaSeven Horizons
Seven Horizons
2010, Autoprodotto
Prog
Pubblicata in data: 06/07/2010


I Seven Horizons sono una nuova promettente realtà italiana nata nel 2007 dall'incontro del batterista Giordano Thomas e dal tastierista Riccardo Oneto, che danno vita a una collaborazione a distanza. La lineup viene completata nel corso degli anni successivi, prima con l'ingresso del chitarrista Gianluca Russo poi con quello del singer brasiliano Celso De Freyin, reduce da esperienze studio con i connazionali Stauros e la militanza odierna nei milanesi Altripercorsi. Sparsi un po' in tutta Italia i quattro ragazzi hanno dato alla luce, dopo il demo del 2008, un full lenght omonimo, inserendosi nel movimento del christian metal, caratteristica questa che emerge facilmente leggendo i testi delle loro canzoni.

"Seven Horizons" è un disco prog decisamente versatile e la prima cosa che si nota è la forte predominanza delle tastiere in ogni brano: Riccardo Oneto fa molto bene il suo lavoro di composizione e arrangiamento e il risultato sono partiture barocche e sinfoniche supportate da un ottimo bagaglio tecnico esecutivo. Un altro punto di forza è la voce tagliente di Celso de Freyin, autore in questo disco di una performance impeccabile, potente e diretta: il cantante, a parere di chi scrive, non ha nulla da invidiare alle ugole dei power metaller più famosi. Lo stesso discorso vale per la sezione ritmica di Giordano Thomas: tecnica, precisa e ricca di rifiniture che, insieme alle linee vocali, dà quel tocco di power metal tecnico di cui aveva bisogno questo album.
Quello che invece non è al massimo in questo disco è la produzione: la qualità audio zoppica in certi punti e penalizza quello che è l'ultimo componente della band, ovvero il chitarrista Gianluca Russo. La sua è una prestazione sicuramente di buon livello, sia per la tecnica, sia per la qualità delle idee, ma il mixaggio finale rovina un po’ il suo lavoro impedendogli di spiccare il volo; questo problema si nota maggiormente in qualche ritmica e in alcuni assoli, dove i suoni non sono cristallini come dovrebbero. Tuttavia, a parte questa nota di demerito, il disco ha un ottimo contenuto e ci si trova davanti a un progressive metal che si unisce a composizioni rock settantiane barocche alla Kansas o Genesis e, in alcune occasioni, a sonorità più Hard Rock anni Ottanta come accade con "In The Wilderness".
Le strutture dei brani non sono mai lineari: prevedono momenti più aggressivi alternati a intermezzi lento-melodici, come nel caso dell'opener "The System Is Dead", una delle canzoni più “metalliche” dell'album, o di "War For The Heart" e "Into The Sunshine". Notevole il finale di quest'ultima in cui l'impetuoso Thomas accompagna le linee furiose di voce di Freyin.
Si hanno poi episodi più gradevoli e riflessivi quali "Empty Jail" e la bellissima "The Miracle" che trovano molta ispirazione rispettivamente nella sei corde di Gianluca Russo e nel tocco magico del tastierista Riccardo Oneto. Forse "Goliath's Head" è una ballad un po' stucchevole, ma lo strumentale seguente ci rianima con passaggi tecnici degni dei migliori Andromeda o Dream Theater. "Seven Horizons" è un capolavoro pianistico di quai quattro minuti, ed è uno di quei brani che nella sua semplicità riesce a trasmettere qualcosa di unico, da ascoltare a occhi chiusi per trovarsi davvero davanti a qualcosa di celestiale.
Chiude il disco "Ancient Of Days", la revisione di un brano della tradizione worship protestante suonato alla maniera dei nostri (come ghost track troviamo la stessa canzone cantata in italiano), sicuramente una buona prova.

Il bilancio finale per questo album è positivo: il lavoro prodotto dai Seven Horizons è sicuramente di qualità, peccato per la produzione che tende a penalizzare parte delle buone idee proposte, ma siamo convinti che, se la band riuscirà a mantenere questa qualità compositiva, una buona produzione potrà essere un ottimo trampolino di lancio per farsi un nome. In ogni caso, se vi piace il prog alla Neal Morse, Dream Theater e Shadow Gallery, mischiato a partiture anni Settanta con un tocco di Queen e virtuosismi alla Malmsteen, questo disco fa sicuramente per voi.

Francesco "Franz87" Romeggini

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Tracklist:

1. The system is dead
2. Into the sunshine
3. Empty jail
4. Judgment theory
5. The miracle
6. In the wilderness
7. Goliath's head
8. Pathway to the throne
9. War for the earth
10. Seven Horizons
11. Ancient of days
12. Gloria ed onore


http://www.truemetal.it/reviews.php?op=albumreview&id=8996


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sexta-feira, 18 de junho de 2010

• 03/2010 Seven Horizons - Seven Horizons
AutoprodottoDurata: 64,45
C'è tutto il bignami, il sunto della musica progressive dagli anni “70 ad oggi in questo nuovo lavoro, dopo il demo di debutto, dei Seven Horizons band sparsa per l'Italia e ...oltre. Innanzitutto la costruzione dei brani fatti di “momenti”, di chiaroscuri ed episodi quasi fosse una costruzione di concept-album anche se in definitiva non lo è. Una tematica di base però c'è ed è la ricerca spirituale interiore, la fede, l'incoraggiamento e l'edificazione personale nel più classico stile white-metal delle “christian band”, movimento di cui questi ragazzi fanno dichiaratamente parte anche se i brani sono e restano comunque indipendenti tra loro. La stessa lunghezza delle songs, quasi mai sotto i sei minuti (a parte l'omonima Seven Horizons), è chiaramente sinonimo di costruzione armonica che và oltre la semplice “canzonetta” ed infine l'uso di strumenti “vintage” come l'organo Hammond e la chitarra Ovation che evocano grandi epopee strumentali di Yes e Nice.

Buona l'apertura aggressiva di The System is Dead che ricalca l'epicità di certe situazioni dei Genesis e dei Marillion, ed anche la voce segue il calco segnato da Gabriel, a cui segue Into The Sunshine più sui lidi degli ELP specialmente nell'intro e nei bridge, ma sempre comunque guidata dalla tiratissima chitarra di Russo (scuola Steve Howe?), Empty Jail, Judgement Theory e The Miracle mantengono le promesse della buona caratura complessiva dei singoli strumentisti con pregevoli momenti di piano, specialmente quest'ultima, organo, chitarra e complesse architetture musicali che, scusate i continui riferimenti, riportano molto ai Dream Theater; sempre ad ottimi livelli la particolare voce del brasiliano Celso De Freyn. In the Wilderness ha un'apertura quasi hard subito mitigata dall'onnipresente suono dell'Hammond che la rende più lirica e meditativa, quasi una preghiera quale in fondo è. Goliath Head, oltre sette introspettivi minuti che sfiorano quasi la musica classica, uno dei momenti più alti dell'intero lavoro; imponente il lavoro al pianoforte e grande solo di chitarra. E' chiaro il riferimento biblico al salmo "Il Signore è il mio Pastore", forse una delle pagine più lette dell'Antico Testamento. Senza soluzione di continuità si passa a Pathway to the Throne dove giganteggia addirittura un minimoog di secolare memoria e la voce si fa teatro e pathos. War for the Earth che disegna paesaggi inquietanti per il genere umano destinato all'ultimo stadio se non vedrà “La Luce” e la strumentale e breve Seven Horizons, delicato momento ricamato anche da preziosi archi, chiudono i brani di originale composizione dell'assortito quartetto. Segue la cover di Ancient of Days (il nome di Dio in aramaico ma anche per i Mormoni), originariamente un gospel di grande diffusione del Rev. Ron Kenoly qui in una versione molto rock a dispetto della religiosità del canto originario. La canzone oltre che il testo in inglese ha anche un frammento in lingua italiana forse per portare e diffondere più chiaramente il messaggio biblico che contiene.

Che dire di un lavoro caratterizzato, oltre che dall'aspetto strettamente “religioso” (i ragazzi sono assidui frequentatori della Chiesa Apostolica), anche da panorami musicali elaborati e inconsueti per i nostri giorni improntato come è a desueti richiami prog che vanno dalle antiche sonorità della PFM alle più moderne scuole di Toto, Kansas, Dream Theater e, perchè no, anche da qualche influenza hard dei Metallica in certi refrain di tecnica chitarristica. Una band da scoprire, da ascoltare molto prima di metabolizzare completamente la lettura dei brani ma da tenere sicuramente d'occhio. Li aspettano varie tournèe in Sudamerica e sono molto conosciuti nel Nord-Europa dove hanno suonato anche con gli americani Petra, indiscussi alfieri del movimento R&R (rock-religion). Se son rose fioriranno...

voto 7 / 10

FONTE: POWERMETAL.IT

http://www.powermetal.it/demo_detail.php?id=00200




Metal Blessing Radio

Christian Metal

6/14/10


This week's show brings a few new additions to Metal Blessing Radio!
I unveiled 3 bands that are new to the music library tonight. Opus Majestic, and then two Italian bands Animae Capronii, and Seven Horizons. I also once again played a wide assortment of genres, starting off with some black metal, and moving on to death, gothic, doom and even a bit of rock and metalcore. Lastly you will have the pleasure of hearing a song by Place of Skulls.

Note: Due to an issue with Podomatic this week's podcast will not feature chapters and album art, as it appears to be down at the moment. Next week should be back to normal, I apologize for any inconvenience.

http://metalblessingradio.podomatic.com/

Banda: Seven Horisons
GenERO: Heavy Metal
aÑO: 2010
Pais: Italia/Brazil
Album: Seven Horisons

Empty Jail
Gloria ed'onore
Goliath's Head

"Celso de Freyn" es un cantante estupendo de Brasil que dio sus pasos principiados en Stavros una excelente banda, hoy es militante con sus vos en una banda Italiana llamada Seven Horisons, Que con todo el gustaso se las comparo, tremenda grabación muy fina indiscutible, acá se las dejo que lo disfruten!!

FONTE :
http://heavymetalcristianopag1.blogspot.com/








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SEVEN HORIZONS Seven Horizons prog 2010 - Self (Italia) www.myspace.com/7horizons A due anni di distanza dal demo di debutto, ecco il primo album dei Seven Horizons, i quali tornano con una nuova line-up che vede Celso De Freyn (ex Stauros, Altripercorsi) al microfono e Gianluca Russo alle chitarre. Sempre presenti invece il tastierista Riccardo Oneto e il batterista, nonché autore dei lyrics, Jordan Thomas. Nel full-length in questione ritroviamo ancora i pezzi del demo, nuovamente arrangianti e arricchiti con passaggi ancora più tecnici. Basti pensare ad esempio al fantastico intermezzo fusion di Into the sunshine, ai fraseggi neoclassical di Judgment theory, o ai nuovi solos di chitarra in Empty Jail e In the wilderness. Si può inoltre ascoltare un indurimento del sound rispetto agli esordi, e questo avviene fin dall'opener System is dead, dove i ritmi cadenzati, un forte timbro vocale di Celso De Freyn e le sfuriate che anticipano i refrain, ne fanno un pezzo davvero travolgente. The miracle invece è impostata su ritmi più tranquilli, con un sound che ricorda quello di Solitary shell dei Dream Theater. Comunque l'apice del disco, a mio parere, si raggiunge con Goliath's head e Pathway to the throne, due pezzi legati tra di loro. Il primo è una malinconica, ma al tempo stesso epica, ballad, dove ancora una volta il cantato teatrale di Celso De Freyn dona un pathos incredibile. L'intensità non cala, e in un continuo crescendo si arriva quindi all'altro brano, forse il più tecnico di tutto il disco. Un pezzo strumentale, o meglio una battaglia di assoli tra chitarra e tastiera, che fa venire in mente Holy ligth degli Stratovarius. Il finale poi richiama per l'ultima volta e con grande teatralità il chorus di Goliath's head, dalle lyrics che prendono spunto dal Salmo 23: "For the Lord is my sheperd / I shall not want / He restores me and leads me / In righteousness / When I'll walk through the / Valley of shadows of death / I won't fear, I won't fear / You are with me / And I dwell in Your / House forever". Un altro pezzo eccellente è War for the earth: il suo alternarsi di mood luminosi ad altri più oscuri e la sfuriata finale vi lasceranno senza fiato. Giungiamo quindi a Seven horizons, strumentale di solo piano con un suggestivo tappeto di synths come sottofondo. Si tratta di una composizione delicatissima, che spezza egregiamente il dinamismo fin'ora ascoltato e dimostra quanto Riccardo Oneto, oltre ad un tecnica formidabile, abbia anche un grande gusto compositivo. A coronare il tutto troviamo Ancient of days, famoso canto worship, questa volta riproposto in chiave rock, prima con testo in inglese e poi in italiano. I Seven Horizons con questa release danno un ulteriore conferma del loro valore. Ce ne siamo già accorti con il demo, ma in questi due anni la band è cresciuta e lo riscontriamo in questo album. Purtroppo c'è ancora qualcosa da sistemare. La pulizia del suono non è ancora arrivata ad alti livelli, ed è l'unica cosa che al momento li penalizza. Quindi una sola nota negativa, perché nel complesso il resto è perfetto. Prossimamente, con una produzione maggiore, ascolteremo qualcosa di davvero formidabile, ne sono molto convinto. Daniele Fuligno VOTO 82

Fonte:
http://www.whitemetal.it/recensione_seven_horizons_-_seven_horizons.htm